Il Libro "Cuore"di Edmondo De Amicis
Inese ci scrive:
Al momento, leggo un libro italiano che ho preso in prestito dalla 
biblioteca e che è uno dei più letti e popolari libri dei ragazzi 
italiani. Questo libro classico, Cuore, è stato scritto da Edmondo de 
Amicis nel 1868 e dipinge un mondo che non esiste più, ma che tratta di temi universali come l'amore ed il rispetto per gli amici, la 
famiglia, e il proprio paese.
Cuore è scritto come il diario di Enrico Bottini, un ragazzino di nove 
anni, che racconta la sua vita come alunno della terza elementare di una
 scuola municipale vicino a Torino. I racconti sono divisi per mese, e 
ogni corto racconto narra un avvenimento della sua giornata scolastica che impartisce  lezioni sulla vita al mondo.
I compagni di Enrico sono soprattutto figli di operai, poveri e 
laboriosi, per esempio muratori, fabbri ferrai e rivenditori di legna. 
Anche gli alunni sono diversi: uno straniero, il ragazzo calabrese; un 
povero gobbino; uno che sa fare il muso di lepre; un grugnone che non 
parla con nessuno; uno che era già espulso da un'altra sezione; un altro
 con un braccio morto. Ma come gli dice il loro maestro il signor 
Perboni: Mostratemi che siete ragazzi di cuore; la nostra scuola sarà 
una famiglia...
E così comincia il romanzo Cuore.
Oggi primo giorno di scuola. Passarono come un sogno quei tre mesi 
di vacanza in campagna! Mia madre mi condusse questa mattina alla 
Sezione Baretti a farmi inscrivere per la terza elementare: io pensavo 
alla campagna e andavo di mala voglia. Tutte le strade brulicavano di 
ragazzi; le due botteghe di libraio erano affollate di padri e di madri 
che compravano zaini, cartelle e quaderni, e davanti alla scuola 
s’accalcava tanta gente che il bidello e la guardia civica duravan 
fatica a tenere sgombra la porta. Vicino alla porta, mi sentii toccare 
una spalla: era il mio maestro della seconda, sempre allegro, coi suoi 
capelli rossi arruffati, che mi disse: – Dunque, Enrico, siamo separati 
per sempre? – Io lo sapevo bene; eppure mi fecero pena quelle parole. 
Entrammo a stento. Signore, signori, donne del popolo, operai, 
ufficiali, nonne, serve, tutti coi ragazzi per una mano e i libretti di 
promozione nell’altra, empivan la stanza d’entrata e le scale, facendo 
un ronzio che pareva d’entrare in un teatro. Lo rividi con piacere quel 
grande camerone a terreno, con le porte delle sette classi, dove passai 
per tre 14 anni quasi tutti i giorni. C’era folla, le maestre andavano e
 venivano...
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