Una risposta che merita di essere discussa
da :
..... A illuminarmi è stata una frase dello scrittore inglese Tim Parks,
traduttore di vaglia, che in un intervento appunto sui problemi del
tradurre (la presentazione dell’annuario di letteratura e editoria Tirature presso
il Laboratorio Formentini di Milano) ha dichiarato, di passaggio:
l’inglese è una lingua che ha fiducia in sé stessa. Ecco, condensata in
una formula efficace, la questione fondamentale. L’italiano – al
contrario dell’inglese – è una lingua che non ha fiducia in sé stessa.
L’italiano non crede nelle proprie possibilità o nel proprio futuro. È
una lingua che non si piace. Non si sente sexy. Non si dà credito. Nutre
nei propri confronti una diffidenza viscerale, istintiva, paragonabile
solo a quella che gli italiani provano verso la classe politica. E
infatti, quando si avverte l’esigenza di conferire a un enunciato o a un
discorso un tanto in più di sapore, di efficacia, di espressività, di
capacità seduttiva, ecco che si ricorre all’inglese. Lasciamo perdere i
casi disonesti (c’è chi usa l’inglese con lo scopo occulto di non farsi
capire, o di camuffare o edulcorare verità spiacevoli): il dato
preoccupante è l’abuso in buona fede. La tendenza – che a volte si
direbbe quasi automatica – di attingere all’inglese ogni volta che si
voglia dare alla comunicazione uno smalto, un pigmento, un aroma
speciale. Se l’italiano è una lingua eccezionalmente, eccessivamente
permeabile, è perché non ripone in sé alcuna speranza o aspettativa.
Per quale motivo? Qui dobbiamo parlarci chiaro. Non diversamente
dall’inglese o dal tedesco o dal coreano o di qualunque altra lingua,
“l’italiano” è un concetto astratto: in concreto, esistono solo gli
esseri umani che parlano. Di conseguenza, ciò di cui stiamo parlando non
è un problema linguistico, ma un problema sociale: o meglio, è un
problema linguistico, quindi un problema sociale. I linguisti
sono i primi a saperlo. Come ha detto Claudio Marazzini – storico della
lingua, docente all’università del Piemonte Orientale e presidente
dell’Accademia della Crusca – l’eccessiva propensione dell’italiano ai
forestierismi dipende dalla fragilità della società italiana. L’Italia è
«una nazione che non ha mai avuto confidenza con la propria lingua, in
cui il consenso nazionalpopolare non è mai esistito, in cui il
sentimento della dignità o potenza della nazione è stato sempre debole, e
quando si è sviluppato ha avuto il marchio infamante del fascismo, che
resta difficile da cancellare».
In altri termini: se l’italiano è una lingua che non ha fiducia in sé
stessa, è perché la società italiana manca di coesione. Perché in
Italia manca – o è scarsissimo – il “capitale sociale”, cioè quella
forma di ricchezza che risiede nella qualità delle relazioni
interpersonali (al di là ovviamente della cerchia familiare e privata o
del gruppo di appartenenza). Non il “capitale umano”, quindi – il
livello di istruzione e di preparazione dei singoli – bensì il
patrimonio di risorse altrettanto immateriale, ma ancora più
impalpabile, che si sedimenta nell’interazione sociale e professionale,
nel rapporto con le istituzioni, nell’osservanza delle regole: e che
quindi si nutre di senso di reciprocità, di lealtà, di condivisione.
Insomma, se il parlante italiano si riempie la bocca di workshop e di
location, di car sharing e di default, è per lo stesso motivo in virtù
del quale il piccolo imprenditore di successo preferisce condividere la
conduzione della propria azienda con un figlio, ancorché privo di
qualunque vocazione imprenditoriale (un figlio che a suo tempo o venderà
o fallirà), piuttosto che cercare un socio competente: perché ritiene
troppo alta la probabilità che un estraneo cerchi di ingannarlo o di
approfittarsi di lui, e troppo bassa la probabilità, in caso di
contenzioso legale, di ottenere giustizia.
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If you master Italian language you open a door to every book, song, opera, webpage and speech created in Italian. I share with you my latest experience coming back to Italy after many years abroad. To better understand Italy and Italian. Da osservatore esterno che viene improvvisamente a confronto con la realtà italiana condivido fatti e impressioni per capire il nostro tempo nel luogo in cui mi trovo.
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