Proseguo nel dettagliare le diversità che mi hanno colpito in questo soggiorno prolungato (un quasi - ritorno) in Italia.
La shoah, ossia l'Olocausto ( con i distinguo che si impongono) è logico che venga celebrato con maggior attenzione (e forse con un po' di senso di colpa) nei luoghi che lo hanno visto svilupparsi in tutta la sua malefica potenza e da parte dei discendenti di quelle nazioni che lo hanno architettato e portato avanti.
Il resto del mondo, quelli che si voltarono dall'altra parte, chiudendo frontiere e rinviando ai carnefici le vittime che chiedevano asilo, non si sentono così coinvolti e, dopo aver magari incamerato i depositi bancari e approfittato dei patrimoni dispersi, ricordano con un certo disagio gli eventi che invece hanno modellato i nostri tempi introducento filosofie aberranti e giustificazioni demenziali.
Un ampio spettro di iniziative si svolgono attorno alla ricorrenza del 27 gennaio; data in cui ricorre la liberazione del lager di Auschwitz e la incontenibile scoperta di quello che tutti temevano o sussurravano in privato: la soluzione finale ideata dal nazismo.
L'amara riflessione di Liliana Segre
Sulla Shoah "ci sarà una riga tra i libri di storia e poi più neanche quella" ha detto la senatrice a vita a MilanoDobbiamo forse concludere che tanta celebrazione in Italia di un errore del passato sia più presente proprio dove ancora oggi l'antisemitismo e l'intolleranza sono quotidiani?
Oggi proprio gli eredi di quel fascismo che promulgò, con l'avallo del Re di casa Savoia, le leggi razziali, fanno a gara nel prendere le distanze da quei fatti pur onorando la memoria di chi li promosse. Contraddizioni del "bel paese"? Oppure la Storia ha veramente insegnato qualcosa almeno a qualcuno?
La Storia (con la ESSE maiuscola) è maestra di vita?
Oppure no: la Storia NON è maestra di vita?
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